Associazione Culturale Aristocrazia Europea

lunedì 25 novembre 2013

Per una nuova aristocrazia europea.

 

Nobiltà ed Elite Tradizionali - Vent'anni dopo

 

   Venti anni fa, nel 1993, veniva presentata a Roma e Milano, con considerevole ripercussione sulla stampa, quella che sarebbe stata l’ultima opera scritta da Plinio Corrêa de Oliveira: «Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII». Oggi, gli avvenimenti sembrano dare nuova attualità al tema.  “In nome del Papa Re. Dai salotti la marcia sul Campidoglio”; “Professore brasiliano teorizza la controrivoluzione”; “La nobiltà al potere”; “Stemmi e corone rivendicano il potere”; “Un importante volume di Plinio Corrêa de Oliveira”. Ecco alcuni titoli apparsi sui giornali all’indomani del lancio in Italia del libro di Plinio Corrêa de Oliveira «Nobiltà ed élite tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato e alla Nobiltà romana» (Marzorati, Milano 1993).  “Stati generali dell’aristocrazia romana al completo”: così Il Tempo titolava il servizio sul lancio dell’opera a Roma, presentata nell’imponente Sala del Baldacchino di Palazzo Pallavicini, a due passi dal Quirinale. “Dobbiamo comprendere la portata dell’appello che sale dalla gente – ha sottolineato nella sua relazione il principe Sforza Ruspoli – il popolo vuole vedere incarnati i valori della preghiera, dell’azione, del sacrificio, che i nostri antenati santi, condottieri ed eroi testimoniarono a prezzo della vita”. A Milano, il libro è stato presentato a Palazzo Serbelloni, in concomitanza col Convegno Internazionale della Nobiltà Europea. A Napoli, la presentazione ha avuto luogo nell’Hotel Excelsior, alla presenza di S.A.R. Carlo di Borbone, duca di Calabria. Il successo è stato tale che anche la Repubblica ha dovuto ammettere tra i denti: “Napoli non ha mai perduto certi umori monarchici”. Il volume è stato successivamente presentato a Palermo, Padova, Firenze, Forlì, Tolentino, Torino, Verona, Genova, Gavi e altre città. L’opera di Plinio Corrêa de Oliveira, anche incoraggiata dal plauso internazionale, è stata pubblicata in 10 edizioni, tradotta in 6 lingue, diffusa in 32 paesi. Qual è il motivo di un tale successo? “Attualmente mi sembra che l’atteggiamento dell’opinione pubblica sulla nobiltà sia molto meno influenzato dagli errori della Rivoluzione francese di quanto non fosse fino a poco tempo fa”, spiegava Plinio Corrêa de Oliveira in un’intervista al mensile francese Le Nouvel Aperçu. In un mondo sempre più in rovina, in cui alla crisi economica si accompagna una crisi spirituale e culturale sempre più accentuata, sembra che molte persone cerchino sollievo elevando lo sguardo al simbolismo rappresentato dalla bellezza della Tradizione. Comincia a nascere in molti spiriti la nostalgia di un ordine naturale sano. Come il figlio prodigo, crescenti settori dell’opinione pubblica rimpiangono la rottura con la Tradizione, e anelano alla restaurazione della civiltà. Anelito che si manifesta, per esempio, nell’entusiasmo popolare per le feste di incoronazione e per i matrimoni dei reali.  Di fronte all’affermarsi di un certo pauperismo, la difesa delle legittime gerarchie – che altro non sono che un riflesso sociale della ricerca della bellezza e dell’eccellenza – diventa più attuale che mai. L’opera di Plinio Corrêa de Oliveira si staglia come un supremo sforzo in vista della salvezza della civiltà occidentale e cristiana. Ricordando un aspetto spesso trascurato del Magistero della Chiesa, il trattato intende proclamare la legittimità, anzi la fondamentale sacralità di una società gerarchicamente costituita, riscoprendo il ruolo delle élite, infondendo in esse il coraggio di riaffermare il loro tradizionale ruolo di influenza, tanto più necessario in un mondo come quello odierno in preda ad un disordine sempre più grande.

 

 Anticipando un tema del numero di dicembre della rivista Tradizione Famiglia Proprietà, ecco un articolo su questo importantissimo tema:

http://www.atfp.it/2013/111-dicembre-2013/885-ventanni-dopo.html

 

       Per eventuali richieste del libro, anche come originale regalo di Natale a qualche conoscente, al prezzo speciale di Euro 15,00, scrivete una mail a info@atfp.it oppure utilizzate l'apposito menu:

http://www.atfp.it/richieste-materiale.html

 

      Cordialmente, JULIO LOREDO
 
 

Newsletter dell'Associazione Tradizione Famiglia Proprietà — Novembre 2013 — 1


 
 

Vent’anni dopo

 

di Juan Miguel Montes

 

Nell’articolo “Resuscitando Darcy”, eloquente quanto ampio (un’intera pagina), pubblicato sul Corriere della Sera il 5 ottobre scorso, Maria Serena Natale scrive che “le monarchie non hanno mai goduto di tanta popolarità come nell’epoca della democrazia digitale: tra abdicazioni, matrimoni, scandali e incoronazioni in Gran Bretagna, Norvegia, Svezia, Danimarca, Spagna e Paesi Bassi attraggono attenzione mediatica e affetto sincero. Non è il risvolto politico che appassiona ma il velo lungo di Kate all’altare, quel mondo lontano di carrozze, fregi, stemmi e ricami. (…) Priva di quell’alone di sacralità, la repubblica non ha la stessa presa emotiva sulle masse. D’altronde quando la corona annulla le distanze dal mondo “borghese” nel tentativo di modernizzarsi, perde mordente. E il caso dei reali svedesi, che negli ultimi 25 anni sono scesi dal 90 al 60 per cento nei consensi”.

 

Un fatto da constatare

L’articolo mette con acutezza il dito nella piaga di luoghi comuni denigratori che, a partire dalla Rivoluzione francese, prevalgono sulle aristocrazie. Tuttavia c’è un fatto: nonostante l’onnipresente e martellante ripetizione che se ne fa, essi non sembrano riuscire a mutare a fondo l’animo umano. La giornalista del Corriere della Sera aggiunge significativamente che il fenomeno da lei descritto si accentua ancor più in momenti di crisi, di mancanza di fiducia, di caos, come quello in cui viviamo. Si potrebbe pensare a semplice futilità, invece ciò riflette il profondo desiderio dello spirito umano di essere appagato dal mistero, dal trascendente e, persino, dal meraviglioso. Un’aspirazione questa che nessun discorso sui beni materiali o sulle novità tecnologiche potrà mai soddisfare.

Secondo la Natale il voler “annullare le distanze” per “modernizzarsi”, fa perdere “mordente” alle monarchie e riporta l’esempio di ciò che è accaduto in Svezia: la dinastia, negli ultimi anni, imborghesendosi ha perso, di conseguenza, sempre più consenso. Questa, in realtà, è una constatazione che vale non solo per le monarchie ma anche per altri ambiti, quali, ad esempio, la liturgia e l’architettura. Insomma, è una esigenza che trapela proprio dal popolo comune, il quale sovente si stanca del grigiore massificante e degli appiattimenti cui è costretto, manifestando prima o poi l’anelito all’esatto opposto.

 

 Un libro storico

Venti anni fa, nel 1993, alla fine di ottobre, venne presentata a Roma, con considerevole ripercussione sulla stampa, quella che sarebbe stata l’ultima opera scritta da Plinio Corrêa de Oliveira. Parliamo del saggio: “Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII”. Il pensatore brasiliano, prendendo spunto dal magistero di papa Pacelli e discernendo l’esaurimento della spinta propulsiva al discorso ugualitario imposto dalla Rivoluzione Francese in poi, invitava l’aristocrazia ed élites tradizionali analoghe ad una ripresa del loro ruolo di servizio al bene comune, al fine di illuminare come un faro il resto del corpo sociale con le loro eccellenze culturali e morali, in tempi che già si preannunciavano di crescente confusione e oscurità.

“Oggi – asseriva il filosofo cattolico – gli errori della Rivoluzione del 1789 vanno ‘invecchiando’ e perdendo influenza. Ciò non significa che tale influenza sia piccola, ma è minore di un tempo e tende a diminuire sempre di più”.

L’evento, svoltosi nella magnifica cornice di Palazzo Pallavicini a Roma, allarmò la Repubblica, diretta da Eugenio Scalfari, pontefice massimo del secolarismo sinistrorso, finendo in prima pagina, nella cronaca interna e nel fondo. Un altrettanto noto quotidiano della Capitale, Il Tempo, salutava, al contrario, con beneplacito la monografia di Plinio Corrêa de Oliveira. Dopo aver qualificato l’autore come “maître à penser della Destra”, ne riconosceva il merito avuto nel riproporre, in termini originali, un valido invito all’impegno di un ceto singolarmente vocato al servizio della società. Un’idea, questa, rafforzata, secondo la cronaca del quotidiano romano, dal Cardinale Alfons Stickler che, in conclusione del convegno, affermò: “Come i triari romani che, marciando alle spalle delle legioni, erano capaci di ribaltare la disfatta in vittoria, così l’aristocrazia deve sapere trasfondersi nell’animazione cristiana della società”.

 

Due opzioni preferenziali armoniche

È questo un discorso valido nel mondo di oggi e nell’ambito di una “Chiesa dei poveri e per i poveri”, si domanderà qualcuno? È ragionevole chiedere, come faceva l’autore del saggio, un’azione anche pastorale in favore delle élites che si affianchi alla giusta e ampia azione per i bisognosi, all’opzione preferenziale per i poveri, come era solito dirsi allora?

Tralasciando il fatto che anche le élites sociali si trovano, non di rado, impoverite nell’attuale contesto storico, Plinio Corrêa de Oliveira sottolineava che una eventuale opzione preferenziale per i nobili non esclude quella per i poveri, e l’una non si contrappone all’altra, come insegna Giovanni Paolo II: “Sì, la Chiesa fa una opzione preferenziale per i poveri. Una opzione preferenziale, si badi, non dunque un’opzione esclusiva o escludente, perché il messaggio della salvezza è destinato a tutti”. Entrambe le opzioni rappresentano modi diversi di manifestare il senso di giustizia e carità cristiana che sole possono affratellarsi nel servizio dell’unico Signore, Gesù Cristo, che fu modello dei nobili e dei poveri. Queste parole servano di chiarificazione per coloro i quali, animati dallo spirito della lotta di classe, ritengono che esista una relazione inevitabilmente conflittuale tra il nobile e il povero.

L’autore brasiliano poneva l’accento, alla maniera dell’agere contra ignaziano, sulla prevalente tendenza utopica e demagogica che pretende di appiattire tutti in una massa ugualitaria e anonima. Qualcosa che equivarrebbe a negare la realtà che ci mostra come - al di là della essenziale uguaglianza di tutti gli uomini - sono legittime e necessarie le diseguaglianze causate dagli accidenti. Infatti, Pio XII, nel Radiomessaggio del Natale 1944, insegnava che “le ineguaglianze provenienti da accidenti come le virtù, il talento, la bellezza, la forza, la famiglia, la tradizione ecc., sono giuste e conformi all’ordine dell’universo”.

 

 

Rinasce l’egualitarismo utopico?

Tale dottrina delle giuste ineguaglianze fu sostenuta da san Tommaso come un bene di per se stesso, in quanto riflesso dell’ordine della Creazione e una via per conoscere ed amare il Creatore. In seguito, essa è stata ribadita da un lungo magistero pontificio in cui armonicamente trovano posto e legittimazione grandi, medi e piccoli in un ordine sociale che – sebbene debba fornire condizioni degne e giuste per tutti - non deve mai puntare al livellamento totale.

Come si sa, il discorso egualitario dal sapore marxista è stato apparentemente superato dal crollo dell’impero comunista. Tuttavia esso viene riproposto in modo ricorrente da tendenze, persino cattoliche, che vorrebbero trasformare anche la Chiesa in un campo di battaglia di “oppressi” contro “oppressori”, aggiornando così la teoria della lotta di classe, nonostante si cerchi opportunisticamente di negare l’apparentamento originario a Marx, figura ormai screditata, per associarla a un presunto obbligo religioso.

Una grande occasione di propaganda i neo-egualitari la trovano or ora in certe situazioni createsi con la crisi finanziaria ed economica internazionale, certamente originata anche da azioni profondamente immorali, ma che non si risolve affatto attingendo a ricette egualitarie bocciate dalla storia, dopo che esse hanno dimostrato la loro intrinseca incapacità di migliorare le condizioni di vita. Un fatto dovuto proprio al diniego utopistico delle legittime differenze presenti nell’ordine naturale e sociale.

Ma il discorso neo-egualitario trova conferma nella realtà attuale?

 

 Le nazioni più avanzate non sono ugualitarie

L’opera di Plinio Corrêa de Oliveira segnalava il carattere organico e naturale della formazione di un’élite dirigente storica e a conferma di ciò mostrava come anche nei modernissimi Stati Uniti, una nazione nata repubblicana, si siano formate famiglie eminenti che fanno di questo Paese una realtà largamente aristocratica e tendenzialmente tradizionale. Altroché mito degli Stati Uniti, nazione super-egualitaria. Ciò conferma un’altra constatazione sull’ordine naturale già messa in evidenza da Papa Pacelli: “Anche nelle democrazie di fresca data e che non hanno dietro di loro alcun passato di vestigio feudale, si è venuta formando, per la forza stessa delle cose, una specie di nuova nobiltà o aristocrazia” (Allocuzione al Patriziato e alla Nobiltà romana, 1947).

A questo punto sarebbe da domandarsi se un analogo processo di ricreazione dell’élite sociale e culturale non stia avvenendo ora persino nella ex Unione Sovietica, cioè in quello che fu un gigantesco laboratorio per la costruzione della società assolutamente ugualitaria. A parte la prevalenza socio-economica di personalità di origine più o meno dubbia, a volte fortemente coinvolte nella realtà comunista precedente, è un fatto noto che vecchi rappresentanti della nobiltà in esilio siano tornati da Londra e Parigi a Mosca e San Pietroburgo, dove hanno trovato accoglienza ed affetto sia nel popolo sia nei circoli culturali e religiosi più importanti della Russia, i quali vedono in loro genuini rappresentanti di una identità che i bolscevichi cercarono di cancellare.«Chassez le naturel, et il reviendra au galop» dicono i francesi.

 

 Nessuno è immune dal lustro della tradizione

Si sa, inoltre, che i nuovi ricchi russi e cinesi sono i maggiori datori di lavoro di maggiordomi laureati in esclusive accademie londinesi. Trattasi di persone di notevole formazione culturale, capaci non solo di organizzare eventi sociali e di coordinare il personale di servizio, ma in grado di parlare ottimamente le lingue e discorrere sui più svariati argomenti storici e di attualità, con quell’elevata raffinatezza raggiunta in genere nell’Europa occidentale e, in specie, dalle casate gentilizie britanniche. Ed è proprio questo, a parte naturalmente la ricchezza, che molti tra i nababbi dei paesi emergenti vorrebbero trasmettere ai propri discendenti, riconoscendo così la superiorità della tradizione sul mero potere del denaro. Del resto, non a caso Papa Pacelli diceva ai nobili nel saluto annuale del 1958 che persino chi “ostenta noncuranza e forse disprezzo per le vetuste forme di vita, non va del tutto immune della seduzione del lustro”.

Da qui l’attualità e persino la nota di preveggenza presente nel pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira. Nonostante l’involgarimento generalizzato e l’appiattimento indotto, forse anche proprio a causa di questo, vasti settori dell’opinione pubblica si aprono sempre di più a tendenze e idee contrarie all’andazzo corrente. Parlando del ruolo della “Nobiltà e delle élites tradizionali analoghe”, egli non pensava certo alla ripresa del ruolo, come corpo costituito, nella direzione dello Stato che la nobiltà aveva avuto in passato, dalla difesa militare alla diplomazia alla magistratura, bensì di mettere al servizio del bene comune “il suo inestimabile capitale di principi, di tradizioni, di stili di vita e di modi di essere, la cui perdita andò in detrimento delle altre classi sociali, passate a vivere sotto l’influenza criticabile e, a volte, perfino ridicola dei nuovi ricchi”.

Questo, e non altro, era poi il fulcro delle allocuzioni rivolte da Papa Pacelli alla nobiltà e al patriziato romano: utilizzare le risorse che restano loro per avviare un nuovo corso di elevazione culturale, morale e religiosa in beneficio di se stessi e del resto della società.

 

       

 

giovedì 21 novembre 2013



 
 
Sua Altezza Imperiale il Granduca Giorgio Michele di Russia festeggerà i 400 anni dell'ascesa al Trono della Famiglia  Romanov, con una grande festa benefica che si terrà a Bruxelles, con la partecipazione di diverse "teste coronate" oltre che di rappresentanti di tutta l'autentica aristocrazia europea ed asiatica. Infatti, il legittimo erede al Trono di tutte le Russie, è un perfetto esempio di riuscita integrazione (culturale e religiosa) Euro-Asiatica, essendo figlio di Sua Altezza Imperiale il Principe Francesco Guglielmo di Prussia e Germania e di Sua Altezza Imperiale la Granduchessa di Russia, Maria Vladimirova (figlia dell'ultimo erede maschio della dinastia Romanov, il compianto Gran Duca Vladimiro Cirillo). Il giovane principe russo-tedesco è un moderno paladino della Tradizione ed uno strenuo difensore delle radici cristiane dell'Europa. Allo storico evento internazionale parteciperà anche una delegazione italiana guidata da Sua Eccellenza il Principe Don Guglielmo Giovannelli Marconi. Con lui, esponente della aristocrazia più tradizionalista e patriottica, sono stati invitati, non a caso, anche il Nobile Mario Filippo Brambilla di Carpiano ed il Nobile Roberto Jonghi Lavarini Freiherr von Urnavas.
 
 

mercoledì 20 novembre 2013

SMOM: aiuti alla popolazione della SARDEGNA

 
 
Sardegna: subito operativi i Volontari del Corpo Italiano di Soccorso del Sovrano Militare Ordine di Malta, con funzioni di protezione civile e pronto soccorso, a sostegno della popolazione colpita dalle alluvioni. Tutti possono dare un concreto e sicuro aiuto, anche economico, contattando la Delegazione sarda dello SMOM, in Via Principessa Jolanda 80 a Sassari, tel. 338 3391944.
 
 

lunedì 18 novembre 2013

Matrimonio di Fernando Crociani Baglioni

 
 
 
Roberto e Veronica Jonghi Lavarini hanno partecipato al matrimonio dell'amico e confratello Cavaliere di Gran Croce Conte Prof. Fernando Crociani Baglioni di Serravalle di Norcia, con la la Dottoressa Simona Farcas (presidente della associazione Italia-Romania Futuro Insieme e discendente da una antica famiglia della Transilvania). Al matrimonio era presente una composita rappresentanza della aristocrazia italiana ed europea, esponenti della destra italiana e del "Fonte Europeo della Tradizione", oltre a numerose autorità religiose, civili e militari. Auguri agli sposi!

 



mercoledì 30 ottobre 2013

ARALDICA e DIRITTO NOBILIARE

Corso consigliato anche dal Collegio Araldico Romano, dalla Società Italiana di Studi Araldici e dalla Walser Uradel Kulturverein.
 


INAUGURATO CORSO DI PERFEZIONAMENTO  IN DIRITTO NOBILIARE E SCIENZE ARALDICHE

 

Sabato 5 ottobre 2013 alla presenza di Padre  Prof. Michael Ryan L.C. in rappresentanza del  Magnifico Rettore P. Jesus Villagrasa L.C.  dell’Ateno Pontificio Regina Apostolorum è stato  inaugurato presso l’Aula Magna il CORSO DI  PERFEZIONAMENTO IN DIRITTO NOBILIARE E  SCIENZE ARALDICHE.  

 

Numerose sono state le richieste di adesione e iscrizioni ragion per cui l’Ateno  ha deciso di prorogare i termini di iscrizione fino al prossimo 07 novembre  2013.

 

Il corso ha un profilo storico, etico e giuridico. Il corso prefigge come scopo il  chiarire sotto il profilo filosofico, etico e giuridico il concetto e l' "esercizio"  della Nobilità. Questo è necessario perché ci sono stati periodici tentativi di  sistemare sotto il profilo  ideologico e giuridico questa materia complessa e  perché chi maneggia codici e pandette rivendica di essere il più legittimato non  solo a designare "chi è nobile e perché" nei diversi ordinamenti, statali o  extrastatali, non solo a stabilire quale sarà il ruolo politico e sociale della  nobiltà, ma anche a conferire un sesto razionale alla congerie delle  consuetudini instaurate col trascorrere dei secoli. La vicenda del diritto nobiliare in Italia, a prima vista, sembra essersi conclusa  con l'approvazione della Costituzione repubblicana che, alla sua XIV  disposizione transitoria, afferma che  "I titoli nobiliari non sono riconosciuti".  In realtà così non è, dato che la medesima norma costituzionale continua  precisando che "I predicati di quelli esistenti prima dell'ottobre 1922 valgono  come parte del nome": da ciò tutta una serie di problemi relativi  all'accertamento dei predicati medesimi, alla necessità di chiarire cosa la  norma volesse intendere allorché si riferiva a quelli "esistenti" e altro.   Questioni queste, in realtà molto concrete che fanno si che lo studio del diritto  nobiliare oggi non sia " fine a sé stesso, ma posto al servizio dell'analisi e della  soluzione di diversi problemi giuridici, di natura pubblicistica e privatistica,  che ancora impegnano le corti di giustizia, pur se in modo umbratile e ignorato  dalle cronache".  Completa, infine, il quadro l'ulteriore alone di incertezza derivante dalla frase  finale della norma: "la legge regola la soppressione della Consulta araldica",  facendo cosi apparire ancora vivo, ancorché paralizzato, un organo tipico dell'  apparato amministrativo nobiliare del (già) Regno d'Italia.  L'interesse allo studio del diritto nobiliare appare, inoltre, in tutta la sua  evidenza sia a fronte delle innumerevoli farsesche rappresentazioni che di una  materia complessa ed articolata come questa talora vengono date da una  cronaca superficiale e pettegola, sia alla luce della considerazione che in esso è  racchiusa una infinita quantità di tradizioni, culture storiche, e vicende  generazionali delle quali il nostro Paese è particolarmente ricco.   

 

Per tutti questi motivi con l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di  Roma l'Istituto Internazionale di Diritto Nobiliare Storia ed Araldica di  Viareggio ha deciso di promuovere l'apertura di un "CORSO DI  PERFEZIONAMENTO IN DIRITTO NOBILIARE E SCIENZE ARALDICHE"  finalizzato allo studio e alla divulgazione di questa interessante branca del  diritto, in collegamento con lo studio di quella Scienza dell'Araldica che, anche  se non necessariamente connessa con il mondo nobiliare, ne è stata  storicamente l'inseparabile compagna.  Il Corso avrà inizio il 05 ottobre 2013 e sarà articolato in lezioni concentrate ol  primo sabato di ogni mese (agosto escluso) per un totale di 80 ore.  Il corpo docente è composto da docenti universitari e da tecnici del settore.   Al termine del Corso, previa redazione di una tesi finale, verrà rilasciato un  "Attestato di  Qualificazione in Diritto Nobiliare e Scienza Araldica". La discussione della tesi avverrà in Roma via degli Aldobrandeschi n. 190  presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Coloro che acquisiranno l'Attestato potranno ottenere l'iscrizione quali Periti  ed Esperti in Araldica presso le Camere di Commercio.  In presenza degli ulteriori requisiti previsti dall'apposito Regolamento  potranno ottenere la nomina a Procuratori legali arbitrali presso la Corte  Superiore di Giustizia Arbitrale, costituita presso l'Istituto.  

 

Il Comitato Scientifico di Direzione del Corso di Perfezionamento è costituito  dai seguenti docenti universitari:  1)     Prof. Avv. Raffaello Cecchetti (Università di Pisa) 2)     Prof. Avv. Riccardo Scarpa (Università Roma tre) 3)     Prof. Avv. Enrico Spagnesi (Università di Pisa)   Il coordinatore del Corso è il Dott. Prof. Emilio Petrini Mansi che rimane a  disposizione per qualsiasi tipo di informazione e delucidazione. Elenco delle materie del Corso di perfezionamento e le relative ore di  insegnamento: 1) Araldica ed Araldica Ecclesiastica ( 10 ore ) - Gen. C.C. Avv. Prof.      Domenico Libertini - 2) Diritto Nobiliare ( 10 ore ) - Prof. Avv. Raffaello Cecchetti -  3) Storia  degli Ordini Cavallereschi ( 10 ore) - Prof. Avv. Riccardo Scarpa -  4) Diritto dell'Arbitrato ( 10 ore)  - Prof. Dr. Emilio Petrini Mansi - 5) Istituzioni Medievali ( 10 ore)  - Prof. Avv. Enrico Spagnesi - 6) Archivistica ( 5 ore)  - Prof. Dr. Luca Fusai -  7) Grafologia e Paleografia ( 10 ore)  - Prof. Dr. Luca Fusai - 8) Storia e Metodologia della Genealogia ( 5 ore)  - Prof. Dr. Luca Fusai - 9) Storia della Chiesa ( 10 ore )  - Mons. Prof. Frà Giovanni Scarabelli

 

 

 

FREQUENZA: non è obbligatoria. Il Corso può essere seguito in presenza o E-learning e  tramite dispense fornite.  SEDE: PONTIFICIO ATENEO REGINA APOSTOLORUM VIA DEGLI ALDOBRANDESCHI,  190 ROMA.  Per informazioni ed eventuale pre-iscrizione si prega di contattare il nostro Studio ai numeri  telefonici (0039) 058450607 ; (0039) 0584361430 oppure inviare una  email  specificando nome, cognome, tipo di informazione richiesta e recapito telefonico al seguente  indirizzo:   info@studiolegaledidirittonobiliare.com.

 

In riferimento alla Legge del 31 dicembre 1996, n. 675 sulla Tutela delle Persone rispetto al  Trattamento dei Dati Personali - e successive modifiche ed integrazioni, sia l’attuale Decreto  Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, Codice in Materia di Protezione dei Dati Personali, il  nostro Studio si impegna a mantenere l'anonimato nel pieno rispetto della legge relativamente  agli elementi identificativi riportati nelle richieste pervenute tramite posta elettronica.

 
 

ARALDICA

Scienza ausiliaria della storia che ha origine in Germania, l’Araldica riveste  particolare importanza per il periodo dal Medioevo all’Età moderna, ma è  ancora attuale, come afferma Fabrizio di Montauto nel suo manuale di  Araldica edito da Polistampa nel 1999 .  L’Araldica è la disciplina degli Araldi, come ricorda Goffredo di Crollalanza  nell’Enciclopedia Araldico Cavalleresca ristampata da Forni nel 1999, tra cui segnala tra i  più rappresentativi il Ménéstrier, il Cartari, Wulson de la Colombière e Marcantonio  Ginanni un grande archeologo, araldista, perfetto blasonatore e compilatore, riassunse  l’araldica ed il blasone con queste parole: “Tutta quest’arte ossia scienza del Blasone è la  cognizione di tutto ciò che spetta all’arme, ed alle leggi e regolamenti di essa, che consiste:  Nel Campo dell’Arme, nelle Figure, che le compongono, nella disposizione di esse figure,  negli smalti o colori loro, e negli ornamenti esteriori, che accompagnano le Armi. Da tutte  queste cose, che sono Figure araldiche, vien composto il Blasone”.  L’Araldica, quindi, studia gli stemmi, termine talvolta sostituito da “arma o arme” al  singolare ed “armi” al plurale. La descrizione degli Stemmi, compito degli Araldi o  Araldisti, è detta “blasonatura”. Gli Araldi  dovevano conoscere tutte le usanze e tutte le  leggi che regolavano le armi gentilizie, studiare i diritti della nobiltà, l’antichità delle  famiglie, le insegne e le livree che le distinguevano, impedire l’usurpazione dei titoli ed  osservare il mantenimento delle prerogative dei gentiluomini. Conservavano i registri  genealogici e gli armorali. Blasonavano le armi dei cavalieri. Unici giudici competenti in  fatto di blasone, stabilivano le leggi cui le armi dovevano andar soggette, regolavano le  figure che ciascuna famiglia poteva e doveva portare e riconoscevano la regolarità delle  prove genealogiche e dei titoli acquisiti. Ragion per cui l’Araldica è l’arte che  compone le  divisioni dello scudo, immagina esseri fantastici, scruta nella mitologia, nella storia,  nell’archeologia, nelle matematiche, nelle scienze fisiche, nel costume dei popoli per trarne  figure ed insegne, e traccia con segni emblematici sugli scudi delle famiglie, delle città e  delle nazioni le vicende, l’appellazione, i titoli e le particolarità di esse, mediante un mezzo  ausiliario della storia conosciuto da tutti, il simbolo. Nel Medioevo, le armi furono  d’iniziativa privata e non di concessione sovrana se non per quei simboli e segni  prettamente spettanti alle Case Sovrane, come l’aquila imperiale, i fiordalisi di Francia, i  leopardi d’Inghilterra, i pali d’Aragona, il Capo d’Angiò ecc. Tra le famiglie per distinguere  dal ramo principale i rami secondari della famiglia, veniva introdotta le cosiddetta  “brisura”, ossia pezza araldica, come pure aggiunte figure o variati smalti per ricordare le  imprese, senza bisogno di particolari concessioni.   Il contenuto delle Armi è variato nel tempo, quelle più antiche sono le più semplici: dei  troncati, trinciati o tagliati, partiti, e raramente contengono figure. Usualmente, poi,  presentano il colore nella parte superiore e il metallo in quella inferiore, probabilmente  per l’uso primitivo di sormontare lo scudo (metallo) con un panno di colore. Riguardo alle  armi agalmoniche e in particolare quelle parlanti le armi più semplici, con figure singole o  poco numerose e ben delineate, sono le migliori e prevalgono a Venezia, Firenze e Siena.  Lo studio delle armi comprende lo scudo e i suoi ornamenti, che sono l’elmo, corona,  cimiero, lambrecchini, sostegni, tenenti ecc., ma principalmente il contenuto dello scudo:  campo, smalti, partizioni, figure o pezze araldiche, figure ordinarie e linee di contorno.

DIRITTO NOBILIARE

Consulta Araldica.  R. R. Decreti 2-5 luglio 1896 – N.313 e 314.  E’ stabilita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri per dare pareri ed avvisi al  governo sui diritti garantiti dall’art. 79 dello Statuto fondamentale del Regno e sulle  domande e questioni concernenti materie nobiliari ed araldiche.  Ufficio Araldico. Riceveva le istanze di natura nobiliare od araldica e, accertato il  pagamento del prescritto deposito, le rimetteva al Commissario del Re. Articolo 79 dello Statuto Albertino: “I titoli nobiliari sono mantenuti a coloro che vi hanno  diritto”. La Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite in causa Consulta Araldica – Sabini sulla  eccezione di incompetenza sollevata dall’Avvocato Erariale nell’interesse della Consulta  Araldica respinse tale eccezione, ordinando che il solo magistrato era idoneo a decidere  (18/3/1905). Per le annotazioni in calce od a margine dei titoli e predicati nobiliari il  Tribunale Civile di Udine, in data 17/12/1954 N. 211, Ruolo N. 5754 – Rep. 985 – 234/1, in  Camera di Consiglio, su domanda di Pietro Formentini, per l’annotazione ai sensi della  Disposizione XIV della Costituzione e degli articoli 66 e seguenti del vigente Ordinamento  dello Stato Civile del titolo e del predicato nobiliare di Conte del Sacro Romano Impero,  ordinò all’ufficiale dello Stato Civile di Udine l’annotazione reclamata. Ed essendo  l’esponente Colonnello nell’Arma Aereonautica, il Ministero della Difesa sottopose alla  firma del Capo dello Stato, il Prof. S. E. Einaudi, il Decreto che ordinava le variazioni nel  fascicolo personale del detto ufficiale superiore e l’applicazione della ottenuta Sentenza.  Così il Capo dello Stato, quale Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, disse  l’utile ultima parola, interpretative del primo comma della Disposizione XIV che suona: << I titoli nobiliari non sono riconosciuti. I predicati di quelli esistenti prima del ventotto  ottobre 1922, valgono come parte del nome. La legge regola la soppressione della Consulta  Araldica >>. La Consulta Araldica efficiente e vitale come organo consultivo (non deliberativo) in  regime monarchico è per l’ultimo comma della ricordata Disposizione XIV soppressa con la  parola<< regola >> altrimenti il legislatore avrebbe detto << regolerà >>. Ma anche in  questo caso osta alla emanazione di una legge ad hoc la successiva Disposizione XVI che  dice:<< Entro un anno dall’Entrata in vigore della Costituzione (1° gennaio 1948) si  procede alla revisione e al coordinamento con essa delle precedenti leggi costituzionali che  non siano state finora esplicitamente od implicitamente abrogate >>. Manca infatti a questo Ente il Presidente e con lui, già autorevoli membri di diritto, quali il  Commissario del Re, il Cancelliere, i Presidenti della Corte di Cassazione, del Consiglio di  Stato, della Corte dei Conti, i Presidenti delle Corti di Appello. L’illustre giurista Avv. Buccino in proposito (Foro Italiano – 1957 – pagina 1695) così si  esprime: << Nella Disposizione XIV il Costituente, che pur non è stato felice nel  formularla, ha stabilito inequivocabilmente che la cognomizzazione dei predicati è limitata  solo a quella dei titoli esistenti al 28/10/1922. Per poter seguire l’indagine è indispensabile  risalire alla legge fondamentale dello Stato Italiano e cioè allo Statuto Albertino del 1848 la  cui efficacia, com’è noto, venne estesa a tutto il territorio nazionale dopo i plebisciti.  L’articolo 79 dello Statuto Albertino sanciva: << I titoli nobiliari sono mantenuti a coloro  che vi hanno diritto >>. Dalla esegesi della norma statutaria risultano i seguenti punti  fondamentali : a) i titoli nobiliari per chi ne è spettatario costituiscono dei diritti. b) i titoli  nobiliari sono conservati agli spettatori (o possessori legittimi). Conseguentemente per accertare l’esistenza e quindi la spettanza di un titolo nobiliare è  necessario risalire: 1) Alle norme contenute nei singoli atti di concessione, la cui efficacia è sempre da  considerarsi ex tunc; 2) Alle norme di diritto sostanziale vigente in materia nobiliare nei singoli Stati  preunitari. Coerentemente alla esaminata norma statutaria il legislatore si limitò solo a creare un  organo (Consulta Araldica), che adempisse alla funzione Consultiva dello Stato in materia  nobiliare e che tenesse un registro nel quale dovessero essere annotati, insieme a coloro  che erano iscritti in registri analoghi nei singoli Stati preunitari, quelli ancora viventi che  avrebbero avuto titolo o ottenuto dichiarazione di nobiltà, nonché quelli di cui sarà  riconosciuto il diritto dalla Consulta con dichiarazione resa esecutoria dal Ministero  dell’Interno (R. D. 10/10/1869, N. 5318). Da ciò risulta che nessun termine di prescrizione o di decadenza fu imposto dal legislatore  per coloro che non si fossero resi diligenti a richiedere il riconoscimento. Il Prof. Nicola Coviello, Ordinario di Diritto Civile nell’Università di Catania, nel suo  pregevole Manuale di Diritto Civile scrive: << … per l’uso dei titoli nobiliari e l’esercizio  anche giudiziale del diritto a portarli non occorre il riconoscimento della Consulta  Araldica >>,   aggiungendo che il riconoscimento compiuto dalla Consulta Araldica, non  costituisce modo acquisitivo del diritto. Il titolo nobiliare, o meglio il diritto al titolo  nobiliare è quindi da ritenersi esistente o meno al 28 ottobre 1922, a prescindere  assolutamente dall’essere stato, o meno, oggetto di riconoscimento. Il riconoscimento non è certamente, come si è rilevato, un modo d’acquisto del diritto al  titolo nobiliare. E non solo il titolo nobiliare e quindi il predicato aveva in sé le note oggettive per essere  riguardato come degno di tutela, ma era considerato un diritto pieno e perfetto dalla legge  fondamentale dello Stato, a prescindere dal suo riconoscimento. Anche in regime di Monarchia il giudice ordinario era il solo competente a conoscere delle  controversie relative ai titoli nobiliari e non solo quando tali controversie sorgevano tra  privati, ma quando la Consulta Araldica, il Ministero dell’Interno, la Presidenza del  Consiglio dei Ministri, denegavano ad un cittadino il provvedimento di giustizia richiesto. Il supremo patrimonio del cittadino è il nome familiare. Nessuna legge può sopprimere,  abolire, decurtare un nome di famiglia, reso più o meno illustre per donativo del Principe. Ed il nome patronimico deve restare ai legittimi discendenti di persona che, per alte  benemerenze verso la Patria, in ogni campo: toga, lettere, arti, scienze, armi, ottenne che il  proprio cognome fosse ampliato con sovrana risoluzione a carattere ereditario.