Associazione Culturale Aristocrazia Europea

giovedì 26 settembre 2013

WALSER FRONT per l'Europa dei Popoli




La Baìa de Chastelmanh

 

La Baìa è un gruppo di guardie, armate d’alabarde e capeggiate da un Abbà che custodiscono e scortano nella solenne
 giri di ronda
Processione del 19 agosto, la statua di San Magno protettore degli allevatori ed agricoltori cuneesi. Nasce ufficialmente nel 1514 contestualmente alla decisione dell’ampliamento della primitiva cappella di Castelmagno eretta nel XV secolo a 1761 metri d’altitudine. Tale cappella, ora trasformata ed ulteriormente ampliata in Santuario, è dedicata al milite romano della legione tebea: Magno, che subì il martirio nel comune di Castelmagno, per difendere la propria fede cristiana. Da quanto riportato nell’opera della Regione Piemonte “ Piemonte: le feste religiose, le manifestazioni, ecc.” Scritto da Dino Garino, si apprende che già nel X secolo la nostra gente montanara impugnò le alabarde (ornate da nastri colorati simboleggianti i raggi del sole) per difendersi dall’invasione dei saraceni, che calarono dalla Provenza verso le montagne Cuneesi. Dal libro “Abbadie in Val Maira … “ scritto da Chiara Andreis, si cita spesso la nostra Baìa fra quelle che si trasformarono in guardie armate, al servizio della Chiesa, contro le eresie calviniste, ugonotte e valdesi (seguite alla riforma protestante). Ad esse era affidata la sorveglianza sui giocatori, sui vagabondi, sugli ubriachi, sulle risse che scoppiavano fra abitanti di frazioni diverse, con un relativo potere di polizia, presentando affinità col potere analogo che avevano gli “Abbati” od i “Re dei Compagni” delle feste popolari francesi.Nel 1600 nascono, in Occitania e nel Cuneese, le “Compagnie delle Abbadie” le cui probabili origini storiche di guardia armata a difesa della chiesa locale, derivano dalla volontà di contrastare le invasioni degli Ugonotti. Questi ultimi furono scacciati dalla Francia in seguito alla revoca dell’Editto di Nantes (nel 1685) e si rifugiarono nelle vicine valli piemontesi. Per oltre un secolo non mancarono le “scaramucce “ contro gli Ugonotti che, nelle più importanti feste religiose, spesso “disturbavano” lo svolgimento delle funzioni. Inizia una vera e propria ronda militare avente lo scopo di scoraggiare i protestanti dal disturbare le funzioni religiose. Ancora oggi vengono eseguiti nove giri dalle Baìa de Chastelmanh, al termine di tutte le funzioni religiose del 19 agosto, aventi un preciso significato di difesa del Santuario. Notevole importanza rivestiva la figura del “Bombardiere” che, dotato d’arma a lunga gittata (si presume appunto una bombarda) costituiva il perno difensivo della milizia locale.
 Il santuario di San Magno a Castelmagno
Il Santuario di Castelmagno era ed è un centro d’attrazione notevole, con la sua festa che si svolge il 19 agosto. Andare alla festa di S. Magno diventava un vero e proprio pellegrinaggio, che acquisiva in se stesso la funzione di sacrificio, d’offerta, per ricevere la benedizione e i favori del Santo, protettore del bestiame e dei lavori agricoli. Al tempo il Santuario era raggiungibile solamente attraverso sentieri e mulattiere,cosicché molti fedeli erano costretti a camminare per ore o addirittura per giorni. Sovente si pernottava ent’es granges d’i marguier (nelle baite dei margari) per arrivare puntuali al Santuario il giorno della festa. I pellegrini provenienti dalla zona di Selés (Celle Macra) o dalle fraz. Castelmagnesi di Arbouna, Coulet, Valiera, Chandarfei, Batouira, ecc… si recavano a questo punto di fede portando con sé delle croci, che erano piantate in un pianoro, denominato ancor oggi Pian d’es crousettes, quasi per estendere sui pascoli la benedizione ricevuta. Da queste croci nasce il simbolo orgogliosamente cucito sulle giacche dei membri della Baìa costituito da due nastri, riccamente colorati, detti levrees, che perpendicolarmente s’incontrano all’altezza del cuore di chi le indossa. Nastri che erano regalati, ai parenti ed amici, dalle spose nel giorno del loro matrimonio (stanti a simboleggiare un pegno di felicità a coloro che avevano preso parte alla solenne cerimonia). Tali nastri erano usati in molti altri luoghi della Francia meridionale e Italia settentrionale (famosi sono quelli della Baìo de San Peire e dei Valdes d’Aosta).
 
Stessi nastri, uniti in mazzi, adornano le alabarde delle guardie di San Magno rendendo le pesanti e minacciose armi più allegre, variopinte e soprattutto molto più visibili agli occhi degli “infedeli ugonotti” e di coloro che osassero disturbare le solenni funzioni. Le stesse alabarde, dette “trent”, sono formate da pesanti bastoni e montano bellissime punte di forme e colori diversi.Da alcune delibere comunali del 1777 “tradotte” da Fausto Menardi, si apprende che alla presenza dello scrivano (oggi segretario) inviato dal Marchese di Saluzzo a verbalizzare i due consigli comunali che avvenivano annualmente a Castelmagno, si nominavano i membri della Baìa stessa. Seguiva la “precettazione” di quanto deliberato tramite il “servo del Comune” (oggi messo). Precettazione alla quale i destinatari non potevano astenersi dall’accettare (salvo che vi fossero seri motivi). Altra caratteristica “storica” della Baìa sono i suoi variopinti pennacchi, cuciti sui cappelli, determinanti i vari gradi di chi le indossa. Dallo scritto di Don Bernardino Galaverna, si apprende che tali pennacchi avevano colori diversi: bianco-rosso-blu le reclute, verdi-rossi tipo bersagliere i veterani e giallo-arancione gli ufficiali. In particolare l’Abbà era l’unico ad avere una lunga penna di traverso cucita sul davanti del chapel (cappello). Egli era considerato la massima carica sociale durante lo svolgimento della festa patronale ed aveva il compito di sovrintendere e garantire il regolare e corretto svolgimento di tutte le feste locali, che avvenivano durante l’anno. 
 
L’Abbà decide come meglio dislocare i membri della Baìa fuori e dentro il Santuario. Durante le funzioni il gruppo della Baìa esegue particolari gesti e riti di antichissima tradizione, come: far leggere le “Scritture” ad un Ufficiale col cappello in testa, fare una sorta di “presentat’arm” durante l’elevazione dell’ostia e del calice del sacerdote officiante, scortare (tenendo in alto l’alabarda) i Sacerdoti che distribuiscono la Comunione (affinché siano anche ben visibili ai pellegrini i luoghi in cui avviene il rito).
 
http://www.la-cerchia.it/sito/cenni-storici/la-baia-de-chastelmanh-oggi/

mercoledì 25 settembre 2013

Sagra del Cinghiale a Migiandone di Ornavasso - Edizione 2013

 

Ottava edizione della Sagra del Cinghiale di Migiandone di Ornavasso, il 6 Ottobre 2013 
 
Ecco il programma completo.
 
DOMENICA 6 OTTOBRE 2013 dalle ore 10,00 alle 18,00
8^ Edizione Sagra del Cinghiale di Migiandone
PASSEGGIATA ENOGASTRONOMICA

alla scoperta di uno dei più suggestivi paesi della Bassa Ossola.
 
In più: Mercatini, Svojacantin e degustazione di prodotti tipici.
 
Presente il Gruppo WALSER di Urnafasch
 


 

 

martedì 24 settembre 2013

Solennità di San Maurizio.



 
Venerdì 27 settembre ore 18.30, a Milano, presso la Chiesa di Santa Maria del Carmine, in Piazza del Carmine a Brera: Santa Messa Solenne dell’Ordine (crociato, religioso, ospedaliero, militare, nobiliare e dinastico) dei Santi Maurizio e L...azzaro, nella ricorrenza di San Maurizio, Generale della Legione Tebea, Santo e Martire della Chiesa Cattolica. Celebrerà il Rev.mo Priore della Lombardia, Cav.Uff. Don Simone Rolandi, presenzierà il Delegato Cav.Gr.Cr. Principe Don Alberto Giovanelli.





mercoledì 18 settembre 2013

La teoria etnonazionalista

La teoria etnonazionalista
 
Da pochi giorni è stato pubblicato un nuovo libro sull’etnonazionalismo, che uno dei quattro autori mi ha pregato di segnalare. Lo faccio ben volentieri, anche perché tutti e quattro hanno pubblicato loro contributi anche sul sito del Centro Studi La Runa. * * * Orizzonti del Nazionalismo Etnico Pensiero Etnonazionalista e Idea Völkisch
 
  Orizzonti del nazionalismo etnico
Effepi Edizioni, pagg. 144 Euro 16,00 Maggio 2007 IL LIBRO – Nel testo, vera guida dogmatica al Pensiero Etnonazionalista ed all’Idea Völkisch, si affermano quali debbano essere le “linee guida” che ogni “Soldato politico” etnonazionalista, per essere definito e considerato tale, debba seguire. Il Pensiero Etnonazionalista Völkisch assurge al ruolo di nuovo paradigma etno-identitario di cui la Volksgemeinschaft, la Comunità di Sangue, ne diviene il cardine. Il Popolo rappresenta la Comunità di Sangue: il concetto di Razza e d’ereditarietà, le nozioni derivate dalle ancestrali tradizioni degli Avi. Una comunità di popolo che vuole proteggere e favorire i valori radicati nell’individuo che accetterà ed accoglierà l’atavica eredità atropo-razziale, etno-culturale e storico-politica per riacquistarne ed attualizzarne i Valori fondanti l’identità etnonazionale. Questo paradigma consiste dunque in una riscoperta e riproposizione del concetto di Sangue e Suolo, Razza e Patria, Etnia e Stato. DAL TESTO – “ Il non facile compito che gli autori del libro si sono proposti è quello di “illustrare” e “spiegare”, nella maniera più completa ed organica possibile, la Weltanschauung che sta alla base del pensiero Etnonazionalista Völkisch. Illustrare, pertanto, quale sia, la particolarità metapolitica dell’Etnonazionalismo Völkisch, che gli conferisce una costante attualità, in quanto Idea-Forza in grado di fornire sempre serie e concrete soluzioni politico-culturali capaci di ovviare ai mali che da troppo tempo affliggono l’Europa tutta. Difendere ad ogni costo le Identità etnico-razziali e le ancestrali Tradizioni delle Piccole Patrie europee dalla Sovversione politico-culturale e spirituale che le minaccia. Riaffermare con forza la volontà di ritornare pienamente padroni sulle nostre terre. Rendere edotti e consapevoli i Giovani d’Europa di appartenere a comunità etnico-nazionali antichissime aventi nei Popoli Indoeuropei i nobili padri fondatori. Vigilare, custodire, ricordare le ataviche Tradizioni di quell’Europa Aria che diede vita alle nostre Nazioni di Sangue e Suolo. Salvaguardare l’immenso ed unico patrimonio razziale, etnico, culturale, storico, linguistico ed ambientale delle nostre millenarie Heimat.” GLI AUTORI – Federico Prati, Silvano Lorenzoni, Flavio Grisolia e Harm Wulf . INDICE DELL’OPERA – Premessa – Pensiero Etnonazionalista e Idea Völkisch – Immigrazione allogena, massoneria e mondialismo capitalista – Bibliografia essenziale. Ordinabile presso: Effepi Edizioni effepiedizioni@hotmail.com tel 338 919 5220

L’etno-nazionalismo e l’ideologia völkisch

 


scritti etnonazionalisti
 
Come già scritto, l’etnonazionalismo si rifà al federalismo etnico, forma modernizzata del nazionalismo etnico e dell’ideologia völkisch. Tale ideologia assegna la priorità alla tutela del Volk, inteso come comunità di Sangue e Suolo. L’etnicità costituisce per noi etnonazionalisti il criterio fondante della nazione, che prende corpo attraverso la forza del Sangue. Il singolo individuo è subordinato al volere della Volksgemeinschaft, della comunità etnica. Nella visione etnonazionalista la mappa geopolitica dell’Europa deve essere ridisegnata, attraverso la nascita di una Federazione europea etnica, costituita da Regioni-Stato, etnicamente omogenee. Ecco perché nel nostro edificio etnocentrico non vi è posto per lo Stato nazionale etnicamente eterogeneo.
Il pensiero etnonazionalista si rifà ad una concezione oggettiva della nazione, che corrisponde al Volk della tradizione di Herder, Fichte e M.H. Boehm.

germania
 
Bisogna sostituire gli Stati nazionali etnicamente pluralisti, e quindi ingiusti, con un insieme d’unità etnicamente omogenee. Lo Stato nazionale di matrice massonica e giacobina è il nemico in quanto si è storicamente sviluppato come realtà istituzionale etnicamente eterogenea, che non fonda i diritti di cittadinanza sull’appartenenza etnica! Dunque un indispensabile criterio per comprendere l’etnonazionalismo deve essere la conoscenza del pensiero völkisch, che si sviluppò in Germania e nelle università tedesche tra gli anni ’20 e ’30. Il pensiero völkisch nasceva da un profondo Kulturpessimismus presente in alcuni strati della società tedesca e si concretizzava in un’avversione
per gli aspetti materialistici della moderna società industriale
 
.courage
 
Antiindustrialismo e antiurbanesimo, anticapitalismo e antiliberismo, coniugate ad una volontà di ritornare all’Ahnenerbe, all’eredità degli Avi: sono queste alcune delle facce con cui tale pensiero si mostrava, e proprio nel pensiero völkisch questi aspetti s’intrecciavano indissolubilmente. L’aggettivo völkisch sarebbe stato introdotto, secondo il germanista von Pfister, nel 1875 in sostituzione alla parola “national”. Il pensiero völkisch, che aveva le sue radici profonde nel periodo delle guerre napoleoniche ed in istanze romantiche, nasceva da un senso di frustrazione rispetto ad un’unificazione compiuta sotto l’egida prussiana e ad una scissione confessionale del paese, per recuperare un’identità etnonazionale più profonda e genuina, che si basasse sullo spirito popolare. Germanesimo ed antropologia razziale, antimodernismo e biologismo sono alcune delle facce che caratterizzano il pensiero völkisch. Un legame di popolo a livello biologico attraverso il Sangue e la Razza ed un mitico radicamento nel Suolo dell’Heimat, nell’idioma e negli usi e costumi trasmessi dalla Tradizione rappresentano il pensiero völkisch
 
.curon, bolzano
 
 La forza di tale pensiero risiede proprio nella profonda carica emotiva e passionale che era (è) capace di trasmettere. Dunque la teoria völkisch, termine che in italiano si traduce in “etnonazionale”, sostiene la prevalenza di una concezione della cittadinanza che contrappone “das Volk” a “the people”, e fa sì che in Germania si sia applicato lo jus sanguinis, il diritto del Sangue: cittadino tedesco era solo chi discendeva da genitori tedeschi, parlava tedesco e propagava la cultura tedesca. Per noi etnonazionalisti lo jus sanguinis è un punto fermo, irrinunciabile.
Un extraeuropeo che lavora da 30 anni in una delle comunità etnonazionali che costituiscono la Padania (ad esempio il Veneto) non sarà mai un cittadino Veneto, dal momento che conserva le sue racines, la sua cultura allogena, la sua lingua. Il diritto di cittadinanza, a nostro avviso, dovrà spettare, infatti, solo a chi appartiene alla comunità etnica, cioè, ad esempio in Veneto, è cittadino chi è Veneto di sangue
depero
 
The people significa invece jus soli, diritto del suolo: la cittadinanza si acquisisce semplicemente risiedendo in un posto, e questa è la concezione tipica dello stato nazionale multietnico e giacobino-massone nato dalla Rivoluzione Francese. È proprio in nome del diritto alla differenza culturale e del diritto all’identità etnica che attualmente noi propugniamo un’etnoconfederazione. La nostra teoria völkisch etnonazionalista pone un’importanza speciale sulla supremazia della nazione rispetto all’individuo: per noi etnonazionalisti Razze, Etnie, Stirpi, Nazioni sono le categorie umane fondamentali, rifiutiamo categoricamente il concetto che le popolazioni siano flessibili e mutevoli, senza correlazione fra caratteristiche fisiche e culturali. Vi sono sicuramente analogie di pensiero tra alcuni esponenti della Nuova Destra (es.: Guillame Faye, Robert Steuckers,…) e noi etnonazionalisti völkisch, tali analogie si possono individuare nelle seguenti idee-guida:
  • Il federalismo basato sul criterio etnico quale elemento costitutivo di un nuovo ordine europeo (“L’Europa delle comunità etnonazionali e delle Stirpi”), in cui alla disintegrazione degli Stati nazionali etnicamente eterogenei corrisponda la nascita di una federazione di Stati regionali etnicamente omogenei; il federalismo quale forma istituzionale che consenta l’esercizio del diritto all’autodeterminazione;
  • La richiesta di una nuova mappa politica dell’Europa, con la modifica degli odierni confini, da noi considerati artificiali;
  • La priorità assegnata ai diritti collettivi, di gruppo, rispetto ai diritti fondamentali dell’individuo; l’avversione verso l’universalismo;
  • Il rigetto della società multiculturale, considerata fonte di conflitti interetnici, la teorizzazione di forme del pensiero differenzialista;
  • L’esaltazione di comunità naturali e omogenee contrapposte all’idea di nazione nata dalla rivoluzione francese;
  • La relativizzazione della democrazia liberale, che necessita di correttivi etnici.
Nostro punto di riferimento culturale sono:
  • Intereg (Internationales Institut fur Nationalitatenrecht und Regionalismus, ossia Istituto Internazionale per il diritto dei gruppi etnici e il regionalismo). Finanziato attraverso la Bayerische Landeszentrale fur Politische Bildungsarbeit (ente centrale bavarese di istruzione politica), fino alla sua scomparsa è sostenuto caldamente da Franz Joseph Strauss. Nella dichiarazione istitutiva dell’Intereg si precisa l’obbiettivo di una “relativizzazione degli stati nazionali”, al fine di conseguire “l’affermazione di un diritto dei gruppi etnici e dei princìpi dell’autodeterminazione e dell’autonoma stabilità delle regioni”.
  • BdV (Bund der Vertriebenen), è l’associazione regionale dei tedeschi espulsi dopo il 1945 dai territori orientali del Terzo Reich. BdV nasce grazie al land della Baviera e su iniziativa dei profughi dei Sudeti, la regione popolata da tedeschi grazie a cui Hitler invase la Cecoslovacchia. Il BdV non riconosce gli attuali confini della Germania.
  • SL: (Sudetendeutsche Landsmannschaft), è la lega dei profughi dei Sudeti
  • Fuev (Federalistiche Union Europaischer Volksgruppen), Unione federalista delle comunità etniche in Europa. Per gruppo etnico, secondo la Fuev, si intende una comunità che si definisce “attraverso caratteri che vuole mantenere come la propria etnia, lingua, cultura e storia”. Dopo la caduta del muro di Berlino e dell’Urss, tre milioni di cittadini di origine tedesca sono presenti negli stati post sovietici, per cui Bonn, dopo il 1989, ha iniziato a finanziare la Fuev.
  • VdA: (Verein fur das Deutschtum in Ausland), associazione per la germanicità all’estero.
  • Guy Héraud: coeditore di “Europa Etnica”, organo ufficiale della Fuev e di Intereg, figura nel comitè de patronage della “Nouvelle Ecole”, la rivista della nuova Destra francese. È il padre del federalismo etnico, la dottrina istituzionale che presenta le “Piccole Patrie”, nate dalla secessione dallo Stato nazionale multietnico, come l’estremo bastione contro la globalizzazione e l’invasione allogena. “Padre spirituale” del nazionalismo etnico è R.W. Darré e il suo testo, fondamentale per ogni etnonazionalista, è Neuadel aus Blut un Boden (Ed. italiana: Edizioni di Ar, Padova 1978): l’indissolubile binomio di “sangue e suolo” esprimeva la carica fortemente etnonazionalista e biologista del pensiero ruralistico di Darré. L’uomo, considerato innanzi tutto nella dimensione biologica di portatore e custode nel suo sangue di un prezioso patrimonio genetico, doveva realizzare la sua esistenza attraverso un’intima fusione con la terra.
de carlo
 
Egli doveva “come la pianta mettere radici nel suolo per prendere parte alla forza primigenia, eternamente rinnovantesi della terra”. “Vogliamo far diventare di nuovo il sangue e il suolo il fondamento di una politica agraria tedesca chiamata a far risorgere il “contadinato” e con ciò superare le idee del 1789, cioè le idee del liberalismo. Perché le idee del 1789 rappresentano una Weltanschauung che nega la razza, l’adesione al contadinato invece è il nucleo centrale di una Weltanschauung che riconosce il concetto di razza. Intorno al contadinato si scindono gli spiriti del liberalismo da quelli del pensiero völkisch”. Tra i molti importanti esponenti del pensiero völkisch vi furono: Julius Langbehn (Rembrandt als Erzieher), Paul de Lagarde (Deutsche Schriften), il movimento dei Wandervoegel, W. Schwaner (Aus heiligen Schriften germanischer Völker), Hermann Ahlwardt (Der Verzweiflungskampf der arischen Völker mit dem Judentum), Artur Dinter (Die Sünde wider das Blut), H.F.K. Guenther (Rassenkunde des deutschen Volkes, Rassenkunde Europas, Rassengeschichte des hellenischen und des römischen Volkes), Friederich Naumann, Alfons Stoecker e infine Georg Ritter von Schönerer.
Nostro dovere di etnonazionalisti è, quindi, prima di tutto quello di far riscoprire a tutti i Popoli Padano-Alpini ed agli Europei l’appartenenza alle proprie millenarie comunità di sangue, di suolo, di destino e di storia: comunità che da sempre hanno costituito quella più grande comunità di popoli che è oggi la Padania.
 
ritratto
 
Dire Padania, significa per noi evocare subito una molteplicità d’immagini e di concetti diversi. Primo fra tutti un concetto geografico: la Padania è una terra. Ma subito dopo un concetto d’ordine etnico: la Padania è, infatti, un insieme di popoli affini per comuni radici di sangue e di tradizioni. Ancora, un concetto d’ordine storico: la Padania è il risultato di millenni di vicende storiche specifiche, è il prodotto della vita fisica e spirituale, delle attività delle genti che l’hanno abitata. E infine un concetto d’ordine ideale: la Padania è un insieme di civiltà. Non è dunque possibile pensare la Padania senza avere ben presenti questi quattro momenti fondamentali della sua identità: la Padania come Terra, la Padania come Sangue, ovvero come l’insieme di numerose comunità etniche, la Padania come Memoria storica, la Padania come Civiltà. Noi rappresentiamo quelle Heimaten, quelle Stirpi che esistono da millenni e non un’artificiosa costruzione massonica e giacobina come lo stato italiano, noi siamo quella Terra di Mezzo che da sempre è il cuore pulsante della Mitteleuropa.

Cluny III SW beschnitten verkleinert
 
Il concetto di sangue e suolo non è certo astratto e trova un riscontro materiale nelle mappature genetiche italiane, che dimostrano in maniera scientifica come non esista in termini etnici un popolo italiano e come gli antichi popoli preromani siano ancora oggi presenti con i loro geni. Anche linguisticamente le differenze sono nette e parlare di dialetti è un eufemismo non supportato da riscontri scientifici. Non si può inoltre confondere la razza con l’etnia, ragion per cui gli Europei autoctoni sono razzialmente omogenei ed etnicamente divisi. Il Sacro Romano Impero della Nazione Germanica, unendo nella diversità rimane l’esempio più alto di un’Europa forte, libera e rispettosa delle tante patrie che la compongono.
 
fortunato depero
 
Detto questo riteniamo comunque che di fronte al pericolo immediato e mortale per l’intera Civiltà europea di un’immigrazione che è un’autentica invasione, sia oggi più importante ricercare i valori della comune Tradizione europea ed unire le forze per salvare il salvabile. Lo stato italiano è condannabile in quanto giacobino e perciò centralista e mondialista e nemico delle etnie che lo compongono. Un’etnofederazione basata sui valori della nostra Tradizione potrebbe essere un passo fondamentale verso la costruzione della Padania e dell’Europa che sognamo.
La battaglia è appena iniziata: siamo noi, tutti noi Popoli Padano-Alpini ed Europei che dobbiamo alzare il grido di battaglia, serrare i ranghi, e inondare le piazze di questa Terra antica dal nuovo destino. Inondarla delle nostre millenarie bandiere di libertà! E soprattutto noi etnonazionalisti dobbiamo restare uniti e legati come lo sono gli alberi di una stessa foresta, le onde di uno stesso fiume, le gocce di uno stesso sangue. Allora sarà veramente impossibile fermarci! Forza dunque: Padania, Europa in piedi!
 
Federico Prati
 
L’etno-nazionalismo e l’ideologia völkisch
 

Il popolo Walser delle Alpi


Le “Alpi Walser” comprendono un ampio settore dell’arco alpino, dai confini tra la Savoia e il Vallese alla Valle d’Aosta, alla regione del Monte Rosa, alla Val Formazza, a Bosco Gurin nel Canton Ticino, ai Grigioni, al Vorarlberg, al Tirolo.
Discendenti di quei coloni Alemanni che nel X secolo penetrarono attraverso la “catena mediana” nella valle del Rodano, i Walser furono tra i primi ad acclimatarsi a quote altimetriche e condizioni ambientali alle quali l’uomo non aveva ancora imparato a sopravvivere. Inventori di un modello di vita e  civiltà comparabile per esperienza a quella dei coloni olandesi che strapparono il terreno al mare erigendo dighe, essi seppero dissodare e coltivare stabilmente la montagna  divenendo protagonisti del popolamento delle alte Alpi, in un’epoca (XIII-XV secolo) nella quale la colonizzazione e la bonifica dei territori incolti in vaste aree del continente costituirono un fenomeno economico ed umano che gli storici paragonano, per entità ed importanza, alla rivoluzione industriale del XX secolo.
Minoranza nelle minoranze, quella dei Walser non è una “enclave”, bensì un complesso di “enclaves” linguistiche ed etniche sparse in gran parte dell’arco alpino,  e che, attraverso sentieri d’alta quota, alcuni dei quali sarebbero poi diventati passi alpini di grande importanza per l’economia europea, comunicarono tra loro per secoli, fino all’avvento delle frontiere tra stati sovrani. La mappa delle colonie da loro fondate segue un andamento dinamico tra il XII e il XV secolo, quando la loro diaspora può considerarsi storicamente conclusa. 
Una prima fase (“colonizzazione primaria”) li spinse dall’originario Vallese-Wallis ( di qui il nome “Walser”) alla testata della valle della Toce (Formazza) e delle valli meridionali del Monte Rosa. In fasi successive (“secondarie”, “terziarie” etc.) si spinsero dalle colonie “primarie” verso la fondazione di nuovi insediamenti, tramandando un modello di migrazione ininterrotto per tre secoli, finalizzato però alla fondazione di insediamenti “stanziali”. A queste fasi si connessero sia gli insediamenti minori, in valli limitrofe alle colonie “primarie”, sia la lunga marcia in direzione delle Alpi Occidentali e Orientali, marcia che li portò a fondare oltre 150 colonie d’alta quota sparse dalla Savoia al Tirolo, nell’odierno territorio di 5 stati alpini: Francia, Svizzera, Italia, Liechtenstein e Austria).
Particolare importanza riveste la migrazione walser verso le Alpi Retiche e Alpi Centrali, nell’attuale territorio del Cantone dei Grigioni (Svizzera) e delle Regioni del Vorarlberg e Tirolo (Austria). In quei territori, nei secoli XIII-XV, i Walser  disseminarono di decine di insediamenti permanenti le testate delle valli alpine. L’insediamento walser di Avers (Grigioni), con il villaggio di Juf (2126 m), è ancora oggi il luogo abitato tutto l’anno più alto d’Europa.
Questa fase del movimento migratorio che ebbe per meta le Alpi Retiche vide protagonisti coloni provenienti in particolare dalla proto-colonia di Formazza (ponte tra la colonizzazione occidentale e orientale) e dal Vallese.
L’economia autarchica dei Walser li obbligò ad un alimentazione e ad un’economia di sussistenza dove la grande abilità fu costituita dalla capacità di equilibrare l’allevamento del bestiame e il consumo dei prodotti della poca terra arabile, per fare ciò dovettero  affinare nel tempo tecniche e attrezzature, introducendo l’aratro a ruota, l’erpice, la falce con la lama inclinata rispetto al manico, e tutti quegli attrezzi che avrebbero permesso loro di “domare” la natura selvaggia alla quale avevano lanciato la sfida.
Una particolarità che contraddistingue e accomuna tutti i walser, oltre alla cultura, le tradizioni di vita e di lavoro, la loro economia secolare e le particolari usanze giuridiche che sono una preziosissima ed altrimenti perduta testimonianza della presenza dell’uomo sulle altitudini, è l’antichissima lingua germanica, per la tutela della quale, dalle sempre più delicate  e complesse fasi di riconversione dalle tradizionali forme di economia e di vita, a quelle compatibili con i tempi nuovi, sono necessarie iniziative di coordinamento tra istituzioni culturali che operano in contesti regionali diversi.
Un ulteriore aspetto omogeneizzante è la religiosità  che i Walser hanno da sempre seguito, praticandola e “utilizzandoLa” anche come collante sociale. Le feste religiose erano l’unica deroga che essi si concedevano alle dure mansioni agro-pastorali, quindi anche un momento di svago utile e necessario. Ogni mese ne contemplava qualcuna, cominciando con la festa dell’Epifania a gennaio per terminare con il S. Natale a dicembre. Infine i costumi tradizionali che pur differenziandosi da una valle all’altra, introducono un pretesto di folklore e allegria davvero apprezzabile.
a cura di Beba Schranz

WALSER MUSIKANTA




I Conti Montfort Graf von Feldkirch