Il termine Walser, contrazione di Walliser
(vallesano), appare, per la prima volta, in documento ufficiale, in latino, del
1319, a Galtur (in Tirolo) dove si parla di “Homines dicti Walser” per indicare
una comunità autonoma di famiglie dedite alla pastorizia ed alla lavorazione
del legno. Precedentemente, i Walser vengono semplicemente indicati come
alemanni, teutonici, Titch o Ticci, ovvero tedeschi. Secondo la leggenda, i
Walser sono originari di una ricchissima valle verde, ricca di pascoli e di
selvaggina, nascosta nel cuore delle Alpi e raggiungibile solo attraverso
ripidissimi sentieri e misteriose gallerie segrete. Una specie di Agarthi
germanica, simbolicamente simile ad altri miti nordici come quello della
misteriosa Isola di Thule. Una valle perduta (“da Verlorne Thal”) poi ricoperta
dai ghiacciai e resa inaccessibile, se non a pochi eletti, vecchie guide alpine
walser, dotate di poteri magici, ovvero di uno speciale rapporto con le forze
della natura, come quella di parlare con gli animali della montagna e di
riuscire a comunicare con l’invisibile popolo dei folletti e delle fate. Per secoli, in effetti, i Walser furono
l’unico popolo europeo a vivere in alta quota, in luoghi, naturalmente freddi
ed inospitali, che si credevano popolati solo da creature fantastiche come draghi,
nani (come i famosi Twergi), orchi, streghe e gli orribili Tschaggata (specie
di Yeti europeo). Luoghi isolati ed inabitati che hanno permesso ai Walser di mantenere
la propria lingua (un antico dialetto tedesco, misto ad idiomi alpini) e le proprie
caratteristiche etniche, culturali, linguistiche ed architettoniche, intatte
per secoli. Storicamente, è provata la presenza di questa autonoma popolazione
alemanna, con le sue specifiche caratteristiche antropologiche, nell’800 d.C.
nella Svizzera Vallese, nella Valle del Rodano e nell’Altopiano di Goms. Dal
1200 al 1400, si ha una vera e propria colonizzazione delle Alpi (dalla Savoia
al Tirolo), sia per spontanea iniziative economica, dettata dai cambiamenti
climatici, che per emigrazioni concordate con i vari feudatari dell’arco alpino
che ai Walser concedevano in affitto le loro terre inutilizzate, in cambio di
tributi (che mai avrebbero potuto ottenere diversamente) e sostegno militare (i
Walser erano noti guerrieri, forti e robusti, bravi ad usare le asce, sia per
tagliare alberi che teste). Ai coloni teutonici Walser, oltre l’utilizzo delle
terre di montagna, come pascoli e vigne, boschi da legna e miniere, veniva
garantita una assoluta autonomia rispetto alla comunità autoctona. “Se essi
pagano i loro interessi, sono liberi e non hanno da rendere conto di niente a
nessuno” (recita un documento ufficiale del Signore di Davos del 1289). Infatti,
i Walser non furono mai assoggettati ad alcuna signoria, tantomeno furono servi
della gleba, ma tribù autonome (sippe) che si autogestivano e governavano,
secondo le antiche tradizioni barbare germaniche, con un sistema aristocratico
monarchico, attraverso la riunione dei capifamiglia che, a sua volta, eleggeva
un capo a vita che, comunque, poteva sempre essere rimosso e sostituito, dalla
stessa assemblea, per incapacità o indegnità. A questo Freiherr (libero signore,
sia per traduzione letterale che per tradizione germanica) era attribuito il
compito di governare la comunità (come un buon padre la propria famiglia), di
gestire i rapporti con le autorità locali e con le altre colonie walser, e
di amministrare la giustizia (tranne per
i casi più gravi o che prevedevano la pena di morte che, teoricamente, dovevano
essere esaminati insieme ai giudici del posto). Saltando dal medioevo ai tempi
nostri, secondo le statistiche regionali, elaborate a tutela delle minoranze
etnico-linguistiche, i Walser italiani sono circa diecimila, divisi in tredici
comuni a ridosso del Monte Rosa, fra il Piemonte e la Valle d’Aosta, ma,
oramai, sono solo meno di duecento coloro che parlano ancora l’antico dialetto
germanico, praticamente solo a Gressoney, Alagna (Im Land) e Macugnaga
(z’Makanà). Tutti, però, anche quelli emigrati nelle città della pianura
padana, ed i loro discendenti, mantengono un fortissimo legame di appartenenza
con la propria comunità, con le proprie radici, con la “terra dei padri”,
conservando gelosamente la propria identità, le proprie tradizioni ed i propri
costumi, e partecipando attivamente a raduni, solennità religiose, fiere e
feste folkloristiche.
“Dschi hein di oaltò brucha phoaltet, òn ériò
heimatspròach erhoaltet. Sotte fri òn stòlz wie d’Walser sinn, mò sèelte noch
es volchié fént. (I walser hanno mantenuto le loro antiche tradizioni, e
conservato la loro parlata. Raramente si trova un popolo così libero e fiero
come il popolo Walser). Antico canto walser del XIX secolo.