Associazione Culturale Aristocrazia Europea

domenica 11 agosto 2013

Il fiero popolo Walser

 
 
 

 
 
Il termine Walser, contrazione di Walliser (vallesano), appare, per la prima volta, in documento ufficiale, in latino, del 1319, a Galtur (in Tirolo) dove si parla di “Homines dicti Walser” per indicare una comunità autonoma di famiglie dedite alla pastorizia ed alla lavorazione del legno. Precedentemente, i Walser vengono semplicemente indicati come alemanni, teutonici, Titch o Ticci, ovvero tedeschi. Secondo la leggenda, i Walser sono originari di una ricchissima valle verde, ricca di pascoli e di selvaggina, nascosta nel cuore delle Alpi e raggiungibile solo attraverso ripidissimi sentieri e misteriose gallerie segrete. Una specie di Agarthi germanica, simbolicamente simile ad altri miti nordici come quello della misteriosa Isola di Thule. Una valle perduta (“da Verlorne Thal”) poi ricoperta dai ghiacciai e resa inaccessibile, se non a pochi eletti, vecchie guide alpine walser, dotate di poteri magici, ovvero di uno speciale rapporto con le forze della natura, come quella di parlare con gli animali della montagna e di riuscire a comunicare con l’invisibile popolo dei folletti e delle fate.  Per secoli, in effetti, i Walser furono l’unico popolo europeo a vivere in alta quota, in luoghi, naturalmente freddi ed inospitali, che si credevano popolati solo da creature fantastiche come draghi, nani (come i famosi Twergi), orchi, streghe e gli orribili Tschaggata (specie di Yeti europeo). Luoghi isolati ed inabitati che hanno permesso ai Walser di mantenere la propria lingua (un antico dialetto tedesco, misto ad idiomi alpini) e le proprie caratteristiche etniche, culturali, linguistiche ed architettoniche, intatte per secoli. Storicamente, è provata la presenza di questa autonoma popolazione alemanna, con le sue specifiche caratteristiche antropologiche, nell’800 d.C. nella Svizzera Vallese, nella Valle del Rodano e nell’Altopiano di Goms. Dal 1200 al 1400, si ha una vera e propria colonizzazione delle Alpi (dalla Savoia al Tirolo), sia per spontanea iniziative economica, dettata dai cambiamenti climatici, che per emigrazioni concordate con i vari feudatari dell’arco alpino che ai Walser concedevano in affitto le loro terre inutilizzate, in cambio di tributi (che mai avrebbero potuto ottenere diversamente) e sostegno militare (i Walser erano noti guerrieri, forti e robusti, bravi ad usare le asce, sia per tagliare alberi che teste). Ai coloni teutonici Walser, oltre l’utilizzo delle terre di montagna, come pascoli e vigne, boschi da legna e miniere, veniva garantita una assoluta autonomia rispetto alla comunità autoctona. “Se essi pagano i loro interessi, sono liberi e non hanno da rendere conto di niente a nessuno” (recita un documento ufficiale del Signore di Davos del 1289). Infatti, i Walser non furono mai assoggettati ad alcuna signoria, tantomeno furono servi della gleba, ma tribù autonome (sippe) che si autogestivano e governavano, secondo le antiche tradizioni barbare germaniche, con un sistema aristocratico monarchico, attraverso la riunione dei capifamiglia che, a sua volta, eleggeva un capo a vita che, comunque, poteva sempre essere rimosso e sostituito, dalla stessa assemblea, per incapacità o indegnità. A questo Freiherr (libero signore, sia per traduzione letterale che per tradizione germanica) era attribuito il compito di governare la comunità (come un buon padre la propria famiglia), di gestire i rapporti con le autorità locali e con le altre colonie walser, e di  amministrare la giustizia (tranne per i casi più gravi o che prevedevano la pena di morte che, teoricamente, dovevano essere esaminati insieme ai giudici del posto). Saltando dal medioevo ai tempi nostri, secondo le statistiche regionali, elaborate a tutela delle minoranze etnico-linguistiche, i Walser italiani sono circa diecimila, divisi in tredici comuni a ridosso del Monte Rosa, fra il Piemonte e la Valle d’Aosta, ma, oramai, sono solo meno di duecento coloro che parlano ancora l’antico dialetto germanico, praticamente solo a Gressoney, Alagna (Im Land) e Macugnaga (z’Makanà). Tutti, però, anche quelli emigrati nelle città della pianura padana, ed i loro discendenti, mantengono un fortissimo legame di appartenenza con la propria comunità, con le proprie radici, con la “terra dei padri”, conservando gelosamente la propria identità, le proprie tradizioni ed i propri costumi, e partecipando attivamente a raduni, solennità religiose, fiere e feste folkloristiche.

“Dschi hein di oaltò brucha phoaltet, òn ériò heimatspròach erhoaltet. Sotte fri òn stòlz wie d’Walser sinn, mò sèelte noch es volchié fént. (I walser hanno mantenuto le loro antiche tradizioni, e conservato la loro parlata. Raramente si trova un popolo così libero e fiero come il popolo Walser). Antico canto walser del XIX secolo.



 
 

 
 

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