Associazione Culturale Aristocrazia Europea

giovedì 23 maggio 2013

La colonizzazione walser.

La Colonizzazione


Il fattore "economia"
 
Tra il 1000 e la metà del XIV secolo l’incremento demografico fu così importante da mettere in crisi l’economia europea: le risorse economiche e sociali nonché la tecnologia del tempo si rivelavano sempre più inadeguate.  Gli elementi della natura dominavano interamente le energie dei ceti rurali, costretti da secoli di servitù della gleba ed in balia degli eventi politici, militari ed economici.    Solo le forze dinamiche che si stavano delineando in quel contesto, ed in primo luogo i monasteri, riuscirono a farsi promotrici della colonizzazione, dando vita al dissodamento ed alla bonifica di estesissimi territori dell’Europa centro-orientale, situati oltre i confini dell’impero germanico e ancora coperti di boschi e paludi. 
Nel sud dell’Europa, tuttavia, non si trattava d’impadronirsi di ampi terreni pianeggianti e fertili, bensì di occupare quelle ultime aree ancora spopolate che potevano offrire all’uomo possibilità di vita: i più alti fondovalle e i gradini ed i pendii delle regioni più elevate, al limite delle capacità di resistenza dell’uomo.  Occorreva ridurre la montagna a coltura e sfruttarne ogni angolo, fino agli ultimi più alti terrazzi delle Alpi, sopra le gole dei torrenti.
Era però necessario garantire a quei contadini disposti ad affrontare un compito assai arduo, uno status giuridico favorevole, la liberazione dalla condizione servile ed il possesso perpetuo per sé e per i propri figli delle terre messe a coltura.  Nacque così il “diritto dei coloni” che permise quello che G. Duby definì  << Il più spettacolare e decisivo evento economico>> del basso medioevo.  Il contratto di Utrecht (1106) è la più antica applicazione del diritto dei coloni di cui è rimasta traccia scritta.  Esso fu stipulato tra l’arcivescovo Friedrich di Amburgo Brema ed i capi di una compagnia di contadini olandesi particolarmente esperti nel bonificare il suolo e proteggerlo, con l’innalzamento di dighe, dalle onde del mare. 
Nelle Alpi, un territorio aspro e incolto per eccellenza, esempi di applicazione del diritto dei coloni sono presenti in tutta l’ampiezza della catena, dal Delfinato al Tirolo, ma il caso di gran lunga più interessante resta in tutta la regione alpina, quello dei Walser, non fosse altro per le sue proporzioni e per l’estrema altitudine degli insediamenti.
Come nel resto d’Europa, furono i monasteri a scrivere le prime pagine della presenza umana sulle pendici delle grandi catene montuose. Da secoli essi andavano arricchendosi di possessi sempre più ampi nel cuore delle Alpi. Erano spesso donazioni che, a partire dal X secolo, le dinastie laiche offrivano ai monasteri cercando di guadagnare qualche merito per la vita eterna, ma anche di accrescere il patrimonio di fondazioni religiose e abbazie a cui erano legate da complessi rapporti politici. Si trattava di terre periferiche, pascoli scarsamente sfruttati, all’estremo limite dei grandi feudi; in questo modo i Signori potevano salvaguardare l’integrità dei fondovalle, più redditizi. E chi meglio dei monaci poteva sfidare le antiche superstizioni e scacciare dai ghiacciai e dagli anfratti le potenze malefiche che le infestavano?
Nel VII secolo, Gallo, un discepolo di San Colombano, venne dall’Irlanda per vivere in una foresta selvaggia dove sarebbe sorta l’Abbazia di San Gallo.  Da qui si irradiarono ben presto altre fondazioni benedettine che puntarono al cuore delle Alpi.  I benedettini prima, ed i cistercensi in seguito, furono determinanti nell’apertura della regione alpina verso il mondo circostante: dissodare terre, attrezzare strade, fondare ospizi per i pellegrini ed i mercanti… Intorno al XI secolo, Bernardo d’Aosta fondò una cappella l’omonimo ospizio sul culmine del “Mons Jovis”.  Il Gran San Bernardo divenne così il più elevato monastero delle Alpi.  Poco più tardi furono costruiti l’ospizio del Piccolo San Bernardo e quello di Settimo, nelle Alpi Retiche.   Al XIII risalgono gli ospizi sul colmo del Lungomagno, del San Gottardo e del Sempione.  “Anche le Alpi e i loro ghiacciai, anche le rocce condannate alle nevi eterne ci hanno permesso di dimenticare il loro antico orrore” (Pietro il Venerabile di Cluny, XI secolo).
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

                                                                  Sentiero e passerella di pietra - Vallone di San Grato, Issime

 
Il fattore "clima"
 
A questa fortunata espansione sulle Alpi summe, contribuì in modo determinante un altro fattore.  Lo sviluppo e la crescita sociale ed economica sono spesso figli di grandi variazioni climatiche: se il capriccio di una stagione poteva significare la rovina di un paese, le grandi glaciazioni o il perdurare di un lungo periodo di caldo potevano frenare o accelerare lo sviluppo di un’intera civiltà.  La curiosità e l’ingegno che caratterizzano l’uomo sono stati l’arma vincente per l’evoluzione e la sopravvivenza della razza umana attraverso molte età della terra, tanto da permetterle di superare periodi difficili sviluppando e, a volte reinventando, il proprio bagaglio tecnologico e sociale.
Il clima rigido che caratterizzò i secoli compresi tra il IV il VIII impedì un qualsiasi stanziamento in terre inospitali e pericolose quali ad esempio gli alti pascoli.  Dal IX vi fu una sostanziale inversione di tendenza: la temperatura media si alzò, i ghiacciai regredirono lasciando scoperti ampie gole verdeggianti e valichi traversabili anche “a pied sec”, percorribili pure con armenti e grandi carichi; il limite dei boschi si innalzò e le stagioni divennero più favorevoli per la coltivazione dei campi e la cura dei prati. 
Dal XV i ghiacciai ritornarono a farsi minacciosi:  in poco tempo cancellarono pascoli, interruppero le comunicazioni e le attività commerciali attraverso i valichi, lambirono le più alte colonie provocandone a volte l’abbandono.  Ma questa è un’altra storia di cui ci occuperemo più avanti.

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